Parità, Pipponzi su premialità alle imprese certificate

“Le stazioni appaltanti devono prevedere nei bandi di gara una maggiorazione dei punteggi per le imprese che adottano ‘politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della certificazione della parità di genere’. Lo dice il nuovo Codice dei contratti pubblici all’articolo 108, rubricato ‘Criteri di aggiudicazione di appalti, servizi e forniture, stabilendo meccanismi di premialità’. Per far scattare le agevolazioni, però, non è sufficiente l’autocertificazione da parte delle imprese. Le aziende devono comprovare il requisito della certificazione, che è rilasciato dagli organismi accreditati su base volontaria e su richiesta dell’azienda”.

Così la Consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi.

“Poiché la certificazione è su base triennale, le stazioni appaltanti, alle quali invierò presto una circolare, oltre a determinare punteggi più alti alle imprese certificate, sono chiamate a verificare se i requisiti che sono stati il presupposto per il rilascio del documento permangono nel tempo. Ricordo che i datori di lavoro hanno l’obbligo di inviare una relazione annuale all’Ufficio della Consigliera di parità nella quale attestano l’adozione di politiche aziendali e di misure concrete volte a ridurre il divario di genere, in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Le stazioni appaltanti, dunque, possono rivolgersi al mio ufficio per controllare, tramite la visione della relazione annuale, se le imprese che hanno ottenuto la premialità, hanno mantenuto le politiche aziendali in tema di pari opportunità”.

Le imprese in possesso della certificazione hanno anche altri vantaggi, tra i quali “sgravi fiscali e un punteggio premiale per la valutazione, da parte delle autorità titolari di fondi europei, nazionali e regionali, delle proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti, senza considerare  – conclude la Consigliera di parità – gli altri benefici derivanti dall’applicazione di misure concrete per ridurre il divario di genere come il miglioramento della reputazione aziendale, del clima lavorativo e della produttività”.

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