Acque del Sud Spa, interviene Coviello

Il capogruppo di FdI: “L’acqua perderebbe le sue connotazioni giuridiche di bene pubblico? Nulla di più falso”

“In questi ultimi giorni sta tenendo banco sulla stampa locale la vicenda della neonata società Acque del Sud Spa, prevista dall’art. 23 commi 2bis e 2quater della Legge 74/2023 del 21.06.2023 e non si contano gli inappropriati, fuorvianti e strumentali aggettivi utilizzati per fa passare all’opinione pubblica il falso messaggio che l’acqua, quale “bene comune” e diritto universale perderebbe le sue connotazioni giuridiche di bene pubblico. Nulla di più falso: l’acqua con le sue infrastrutture (acquedotti, fognature, impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica fino al punto di consegna/misurazione) fa parte del demanio ai sensi dell’art. 822 e ss. mm. del codice civile ed è inalienabile”.

E' quanto premette il capogruppo di Fratelli d'Italia in Consiglio regionale della Basilicata Tommaso Coviello. “Ogni dibattito politico sul punto – dice Coviello – non può prescindere da tale dettato normativo. 
Senza entrare nelle storiche vicende che hanno caratterizzato l’istituzione dell’EIPLI, ente pubblico non economico fondato nel 1947 che attualmente e fino al 31.12.2023 ancora garantisce l’approvvigionamento idrico potabile, irriguo ed industriale nelle regioni Puglia, Basilicata, parte della Campania (Irpinia) e parte della Calabria (Cosentino) ed è dunque preposto all’assolvimento di un munus publicum specifico e di importanza strategica per l’economia nazionale in uno con le attività di liquidazione allo stesso demandate, bisogna precisare che anche se formalmente soppresso e posto in liquidazione con l’art. 21 commi 10 e 11 del Decreto Legge n. 201/2011 ha comunque continuato, senza soluzione di continuità, la sua funzione di approvvigionamento idrico”. 

Per il capogruppo Coviello “le ragioni della sua soppressione, ossia l’inefficienza, l’incapacità gestionale ed amministrativa nonché i deficit perduranti sono note a noi tutti, in particolare ai pluridecennali governi di centro-sinistra ed è nota soprattutto l’incapacità dei governi delle regioni interessate che, nel corso di oltre un decennio, nonostante l’apertura del legislatore nazionale nei loro confronti (si ricorda che la competenza in materia era ed è dello Stato), non sono stati in grado né di costituire né di individuare un soggetto giuridico al quale conferire le funzioni del soppresso Ente così come previsto dal comma 11 della versione originaria dell’art. 21 del Decreto Legge n. 201/2011. Dal 2011 in poi il quadro giuridico, la programmazione e la pianificazione per la realizzazione degli interventi necessari alla mitigazione dei danni connessi al fenomeno della siccità e per promuovere il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche sono stati letteralmente stravolti per essere allineati alle discipline unionali, tant’è che con la Legge n. 205/2017 (art. 1 commi 516-525) è stato previsto con apposito DPCM l’approvazione di un piano di interventi nel settore idrico aggiornato di norma ogni due anni ed articolato in sezione invasi ed in sezione acquedotti. A tal proposito è il caso di ricordare che in attuazione degli impegni assunti con il PNRR, il quadro programmatorio suddetto è stato oggetto di riforma con il Decreto Legge 10 settembre 2021 n. 121 con il quale oltre ad unificare le sezioni invasi ed acquedotti, il piano è stato convertito in nuova disciplina chiamata Piano Nazionale di Interventi Infrastrutturali e per la Sicurezza nel Settore Idrico (PNISSI)”. 

“Tale Piano – sottolinea Coviello – oltre alle risorse già esistenti, risulta alimentato da una disponibilità PNRR di oltre 2 miliardi di euro ma si evidenzia che con il PNRR, scheda M2C4, i Governi nazionali (Governo Conte prima e Governo draghi dopo) si sono anche impegnati a mettere in campo due ulteriori misure che attengono al riordino della disciplina (riforme). La prima è la Riforma 4.1: semplificazione normativa e rafforzamento della governance per la realizzazione degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento idrico con la quale il Piano Nazionale è diventato lo strumento centrale di finanziamento pubblico per gli investimenti nel settore idrico unificando le risorse economiche relative alle infrastrutture di approvvigionamento idrico previste dal Piano e semplificando le procedure per la formazione, l’aggiornamento, la rendicontazione ed il monitoraggio degli interventi finanziari. La seconda è la Riforma 4.2: misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati ove in maniera chiara ed esplicita viene detto che nel mezzogiorno l’insufficiente presenza di gestori industriali e l’ampia quota di gestione in economia traccia un quadro del comparto idrico molto frammentario e complesso (…); precedenti esperienze dimostrano che nel mezzogiorno l’evoluzione autoctona del sistema non è percorribile senza un intervento centrale finalizzato alla sua risoluzione. La riforma è rivolta a rafforzare il processo di industrializzazione del settore favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati, con l’obiettivo di realizzare economie di scala e garantire una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni e ridurre il divario esistente tra il centro nord ed il Mezzogiorno”. 

“Il costo medio annuo per famiglia dell’acqua – fa rilevare Coviello – è più alto al sud che al centro – nord. Nell’ambito di tale quadro normativo – programmatico, dunque, si inserisce l’art. 23 commi 2bis e 2quater della Legge 74/2023 del 21 giugno 2023 che prevede la costituzione, a partire dal 1 gennaio 2024, di una società per azioni chiamata Acque del Sud Spa con un capitale sociale iniziale di 5 milioni di euro e le cui azioni sono detenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che assume le funzioni del soppresso E.I.P.L.I (Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania). Dalla disposizione normativa emerge chiaramente che le azioni sono attribuite al 100% allo Stato, cioè al Ministero dell’Economia e Finanze, in conformità ai principi del nostro ordinamento giuridico contenuti nel codice civile e nel codice dell’ambiente. La norma, inoltre, ferma restante la connotazione pubblicistica della funzione, consente altresì al Governo, qualora la scelta fosse di optare per la costituzione di una società integrata pubblico- privata (partecipata), di trasferire la partecipazione azionaria nel limite massimo del 30% a soggetti privati individuati, ma solo come soci operativi. La disposizione normativa, pertanto, prevede un’ulteriore possibilità, oltre alla gestione pubblica al 100%. E’ il caso di precisare, in relazione all’eventuale quota cedibile ai privati che tanto ha scandalizzato alcuni commentatori locali e consiglieri regionali di minoranza secondo i quali il Governo avrebbe creato una privilegiata apertura ai privati 'addirittura dando loro la possibilità di acquistare il 30% del capitale sociale', che la percentuale del 30% è stata stabilita in ottemperanza a quanto espressamente previsto dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (T.U. emanato con il Decreto Legislativo n. 175/2016 con il Governo Gentiloni) il quale prescrive tassativamente che nelle società a partecipazione mista pubblica e privata, la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al 30%”. 

“Ma vi è di più, con la nuova norma il Legislatore – prosegue Coviello – nonostante il Testo Unico prevedesse un limite minimo non inferiore al 30%, si è preoccupato di stabilire il limite massimo di partecipazione privata non superiore al limite minimo del 30% proprio in ragione del munus publicum cui la società Acque del Sud Spa deve assolvere. Sarebbe opportuno a questo punto – conclude Coviello – e questo sì che sarebbe un discorso politico sensato da affrontare in un clima di leale collaborazione, valutare la scelta del modello societario più opportuna da intraprendere nella fase applicativa della legge. Un soggetto interamente pubblico oppure a partecipazione mista pubblico-privata, lasciando da parte le strumentalizzazioni finalizzate ad una delegittimazione elettorale che non trova giustificazione tecnico-giuridica e che non è sostenibile al cospetto di una tematica di vitale importanza per un reale sviluppo della nostra Regione”.

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