DOCUMENTO SINDACATI MEDICI A CANDIDATI PRESIDENTI DI REGIONE

(regioni.it) Centinaia di medici hanno manifestato a Roma sotto il palazzo sede della Conferenza delle Regioni per chiedere a politica e istituzioni di prendersi impegni concreti per salvare il sistema sanitario nazionale. La protesta unisce tutte le sigle sindacali della dirigenza medica (ANAAO ASSOMED – CIMO-ASMD – AAROI-EMAC – FP CGIL MEDICI – FVM – FASSID – FESMED – SDS SNABI – AUPI – SINAFO – FEDIR SANITA’ – SIDIRSS ) e ha già toccato Milano e Napoli. I camici bianchi consegnano a tutti i candidati alle prossime elezioni regionali un documento da sottoscrivere e da portare avanti una volta eletti. Tra gli impegni che si devono assumere i futuri Presidenti di regione lo stop a tagli indiscriminati di servizi e di personale, così come alla 'rottamazione' dei dirigenti e la richiesta di un percorso di stabilizzazione per i precari.

IL DOCUMENTO UNITARIO
L’attualità politica e sindacale registra un indiscriminato attacco, all’interno del pubblico impiego, ai medici, ai veterinari e all’intera dirigenza del SSN, rivolgendo aggettivi ignobili a chi cura e tutela la salute dei cittadini.
E’ la tipica politica demagogica che, inserendosi nella linea di frattura tra attività della pubblica amministrazione e consenso popolare, non opera distinzioni che salvaguardino la delicatezza e la specificità di settori deputati alla difesa di beni costituzionalmente protetti.
IL FINANZIAMENTO DEL SSN
Per la prima volta nella storia del SSN siamo in presenza di uno stanziamento per l’anno 2010 addirittura inferiore al 2009 e per il biennio 2010-2011 si prevede una sottostima del finanziamento di 7 miliardi di euro rispetto al fabbisogno. Questo significherebbe costringere tutte le Regioni ad andare in deficit o a tagliare servizi sanitari e sociali.
La previsione di un’ulteriore diminuzione dello standard di posti letto, tagliandone 10.000 – contenuta nel Patto per la salute proposto dal Governo – non tiene conto dell’impossibilità a breve tempo di poter ristrutturare ed adeguare la rete ospedaliera per assenza di progetti regionali e di fondi necessari. Non viene peraltro considerata la necessità di creare una efficiente rete territoriale che garantisca l’adeguatezza delle cure ai pazienti cronici ed alle disabilità senza sovraccaricare ulteriormente le strutture ospedaliere. Già oggi negli ospedali è sempre più difficile governare una domanda di prestazioni di crescente complessità in un sistema organizzativo che vede il lavoro medico e degli altri dirigenti sanitari complessivamente svolto pari a 14 mesi in un anno e livelli di contenzioso, civile e penale, senza eguali in Europa.
Da una parte, quindi, si tagliano i posti letto ospedalieri e dall’altra non c’è alcun reale investimento per il necessario potenziamento del territorio. Il sistema dell’emergenza, della prevenzione, della salute mentale, delle dipendenze e più in generale i diversi servizi distrettuali sono sempre più impoveriti.
Ma ciò che è più grave è il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro di una categoria che ha visto peraltro vanificate le prospettive professionali.
La previsione di una riduzione stabile degli organici, in assenza di profondi processi riorganizzativi e strutturali, aggrava drammaticamente la situazione dei medici, dei veterinari e dell’intera dirigenza del Ssn che denunciano un impegno sempre più gravoso che produce milioni di ore non retribuite oltre il normale orario di lavoro. Questo sovraccarico di lavoro del personale sanitario, inoltre, espone sempre più i cittadini a possibili eventi avversi. Il previsto ridimensionamento dei fondi della contrattazione integrativa, conseguente alle riduzioni stabili di personale, esaurisce le risorse necessarie a premiare le professionalità ed i risultati migliori. Così facendo si ottiene esattamente l’effetto opposto di quello che si dichiara di voler perseguire: la Sanità italiana avrà meno risorse, meno personale, meno tutela dei diritti, meno cure.
Occorre sottolineare che le osservazioni delle Regioni al Patto per la salute, oltre l’incremento del Fondo Sanitario Nazionale, rivendicano solo una loro autonomia e non determinano un reale cambiamento della situazione in atto.
UN MODELLO INACCETTABILE DI FEDERALISMO
L’attuale contesto del SSN appare ancora in fase di transizione e profonda trasformazione nel rapporto tra Stato e Regioni e tra Regioni ed Autonomie locali.
La riforma del titolo V della Costituzione, approvata nel 2001, ha creato una situazione permanente di conflitto di competenze tra Stato e Regioni che rende impossibile ogni tentativo di correggere le attuali disfunzioni del sistema sulle quali nessuno vuole seriamente intervenire.
Si è acuita di conseguenza la crisi del carattere unitario del Servizio sanitario la cui disarticolazione, con la presenza di più sistemi a diversa velocità di crescita, comporta una perdita complessiva di coesione sociale e un progressivo smantellamento di garanzie formali e sostanziali. La stessa qualità e sicurezza delle cure, come le cronache dell’ultimo anno dimostrano, è divenuta funzione del codice postale. Il rischio clinico una variabile della latitudine.
Oggi appare fondato il rischio di una modulazione inaccettabile dei diritti dei cittadini, a fronte dell’incapacità di troppe Regioni di organizzare e gestire un Servizio sanitario efficiente ed efficace con la grave conseguenza di acuire sempre di più il divario tra Nord e Sud.
Oltre all’aumento delle diseguaglianze tra Nord e Sud, relative ai meccanismi di tutela della salute, l’introduzione del federalismo all’interno di un SSN finanziato dalla fiscalità generale, comporta anche un mutamento nei principi della redistribuzione che, anziché dipendere da indicatori oggettivi relativi alle caratteristiche della popolazione assistita, diventa una perequazione tra Regioni ricche e Regioni povere. Il livello di servizi sanitari, a cui i cittadini di alcune Regioni possono accedere, rischia di dipendere essenzialmente dal grado di solidarietà manifestato dagli abitanti delle Regioni ricche.
Il che cambia radicalmente lo spazio dei diritti e muove verso un contesto in cui essi cessano di essere un bene pubblico nazionale per assumere una valenza locale. Se la strada verso la devoluzione regionale appare senza ritorno, alcuni elementi fondamentali devono essere mantenuti nell’ambito di una competenza unitaria e quindi nazionale.
In particolare:
– la definizione ed il finanziamento dei LEA, accompagnati da pochi e chiari indicatori di offerta e da standard qualificanti, soggetti però a rigorosa verifica, lasciando a livello regionale il compito di organizzare la risposta.
– un fondo di perequazione di tipo verticale gestito dallo Stato;
– l’uniformità dei requisiti di accreditamento di strutture e professionisti; l’omogeneità dello stato giuridico del personale.
LO STATO GIURIDICO
L’applicazione indiscriminata anche ai medici, ai veterinari e all’intera dirigenza del SSN della rottamazione al raggiungimento di 40 anni contributivi con eccezioni di dubbia costituzionalità, è un attacco particolarmente grave. Malgrado le proteste e gli appelli unitari della categoria, i dubbi di alcuni ministri e le ripercussioni sul bilancio INPDAP, valutabili in un aggravio di spesa di circa 3 miliardi di euro, con ostinazione degna di miglior causa, il Governo ha reintrodotto con il decreto anticrisi questa norma incomprensibile, coercendo la precedente palese volontà contraria del Parlamento con due voti di fiducia.
Cambiando le regole in corso si sottrae ai medici la libertà decisionale, acquisita a proprie spese, in merito all’età di quiescenza per attribuirla alle amministrazioni sanitarie, lasciando in balia del potere discrezionale e ricattatorio delle direzioni generali una generazione di professionisti che costituiscono la spina dorsale del sistema sanitario.
E dire che il portavoce del ministro Brunetta ha irriso le organizzazioni sindacali dei medici dei veterinari e dell’intera dirigenza del SSN perché protestavano contro un provvedimento, la rottamazione, a suo dire, inesistente!!
Espellere questi professionisti a soli 58-60 anni di età vuol dire aggravare ed anticipare la crisi demografica della professione medica, in netta controtendenza con le declamate politiche previdenziali ed in contraddizione con lo stesso aumento dei limiti di età di quiescenza decretato per le donne del pubblico impiego, dottoresse comprese.
Si priva, così, il SSN di esperienze e competenze professionali senza alcuna garanzia di ricambio, con gravi rischi per la tenuta del sistema sanitario pubblico.
• In questo contesto il decreto di riforma del pubblico impiego promette lo svuotamento della contrattazione contraddicendo il processo di privatizzazione del rapporto di lavoro, ulteriori sanzioni, l’accorpamento delle aree contrattuali con limitazione della stessa autonomia dell’area medica, mentre giacciono in Parlamento su binari morti, anche per la netta opposizione delle Regioni, provvedimenti legislativi di interesse della categoria, come quello sulla Governance e quello sul rischio clinico.
Senza dimenticare che non si prende alcun provvedimento concreto sulla sorte della libera professione intramoenia a pochi mesi dalla scadenza dell’ennesima proroga.
• Il sistema formativo ha ormai raggiunto il livello di allarme, per la persistenza di condizioni di extraterritorialità per le Facoltà di Medicina, ancora una volta variabile indipendente del sistema.
• La cosiddetta Operazione Trasparenza, che coinvolge il pubblico impiego, ma non altre categorie pure pagate dai cittadini quali magistrati ed universitari, dimostra ulteriormente una politica forte con i deboli, ma incapace di colpire le principali cause del degrado del sistema Italia, dietro le quali si nasconde chi è in grado di esercitare forti pressioni sulla classe politica.
GOVERNO CLINICO
Da anni si discute di riformare il sistema sanità ed ogni Governo cerca di mettervi mano, vanamente. Sembrano tutti solidali, Governo, opposizione, forze sindacali, organizzazioni manageriali, ma quando si arriva al dunque tutte le forze tirano a ridurre la vera consistenza delle riforme, ovvero il venir meno del controllo politico. La Commissione Affari Sociali della Camera ha licenziato un progetto unificato di riforma che non sembra essere riuscito a modificare, rispetto alla “medicina basata sull’evidenza” le storture del sistema il vero problema della sanità italiana. I professionisti dovrebbero fare del governo clinico non solo un mezzo per partecipare attivamente alle scelte strategiche ma un vero e proprio mezzo di rilancio culturale, scientifico ed operativo. Si deve sostituire una visione dirigista con quella fondata su una maggiore responsabilità degli attori del sistema. Certo alla politica competono le decisioni di programmazione in sanità e la scelta dei modelli organizzativi, ma non è più tollerabile l’ingerenza della logica partitica nelle nomine dei Direttori Generali o, quella ancora più grave, dei Direttori di Struttura Complessa. Le nomine, le scelte, dovrebbero sempre avvenire su una selezione che parta dal “saper fare” e da quello “che hai fatto”. Una selezione che valuti, in tutti i campi, i risultati raggiunti. La sanità ha bisogno di non essere più considerata un costo ma una risorsa che produce il bene più prezioso, la salute. Ciò che veramente dobbiamo garantire sono gli obiettivi di salute. Non partendo dall’appropriatezza delle prestazioni, si finisce nell’equivoco che la politica possa migliorare la clinica. L’adozione dei principi delle scelte tecniche deve diventare usuale per arrivare ad una collocazione più appropriata, efficace ed efficiente della tecnologia sanitaria sia in sede ospedaliera che territoriale.
RESPONSABILITA’ CLINICA
Recenti studi della FIASO (la Federazione delle Aziende sanitarie e Ospedaliere) hanno dimostrato che circa l‘85% degli eventi avversi sono da ricondurre a problemi di natura organizzativa che, tuttavia, espongono i cittadini a danni evitabili e i professionisti sanitari a contenziosi logoranti con un aumento progressivo della medicina difensiva (il cui valore è calcolato in circa 12mld di euro/anno) oltre ad incrementi dei costi di gestione e dei premi assicurativi.
Da precisare, inoltre, che la dirigenza sanitaria viene riconosciuta responsabile, in sede processuale, solo entro un range tra il 10 e il 20%, nonostante le numerose cause in sede civile e penale presentate (circa 30.000 nel 2007). Tutto questo richiede una profonda rivisitazione della legislazione sul rischio clinico con l’introduzione di strumenti quali:
– il riconoscimento della responsabilità civile a carico della struttura;
– la costituzione di un fondo per l’alea terapeutica;
– la realizzazione di camere di conciliazione in sede stragiudiziale e l’istituzione indifferibile di “vere” unità di risk management in tutte le aziende.
LE CONDIZIONI DI LAVORO
Strutture di Pronto soccorso sature e prive di una adeguata collocazione dei pazienti.
Mancata sostituzione di personale indispensabile per garantire i servizi e persistenza del precariato.
Tagli alla disponibilità delle risorse necessarie per affrontare l’aumento delle patologie croniche.
Mancanza di programmazione dei carichi di lavoro con turni massacranti che incidono sullo stato di salute degli operatori e sulla qualità dell’assistenza.
A ciò si aggiungono strutture spesso fatiscenti e tecnologie obsolete e inadeguate, direttori generali che vengono valutati solo sui risparmi.
Se non è il quadro di un sistema al collasso ci somiglia molto.
I medici sono stanchi di mettere la loro faccia davanti al disagio dei malati ed alle critiche per un sistema condannato a galleggiare perché incapace di tagliare sprechi, di incidere sulla corruzione e di programmare i servizi in maniera da rispondere ai bisogni dei suoi cittadini. Un sistema la cui riorganizzazione procede tra annunci e fughe in avanti, con porte spalancate alla migrazione in altre Regioni, o all’estero, con l’ossessione del controllo dei costi.
A chi serve una sanità sfinita, demotivata ed impoverita nelle sue professionalità sia pure con il bilancio in pareggio?
Quello che è successo nell’ultimo anno, specialmente al Sud, rimanda a problemi organizzativi e strutturali e non è riconducibile esclusivamente agli inevitabili errori medici. In particolare la categoria denuncia il mancato rispetto di normative e chiede la riorganizzazione della rete ospedaliera per assicurare non un ospedale per campanile, ma strutture organizzate a rete, in sinergia con un territorio potenziato. Occorre garantire la qualità dei servizi e l’equità di accesso, riqualificare la spesa al riparo dalle invadenze della politica assumendo la qualità professionale e la gestione del rischio clinico come obiettivi di politica aziendale.
Se il Ministro del Welfare è ancora dell'idea che “la valorizzazione del personale del Ssn, a partire dalla dirigenza, è condizione imprescindibile per salvaguardare la sanità pubblica” questo è il momento di dimostrarlo.
LISTE D’ATTESA
Liste d’attesa con tempi eccessivamente dilatati, nonostante l’impegno profuso dai medici, sono troppo spesso frutto di una inefficace coordinamento tra servizi ospedalieri e territoriali, di disservizi, di inadeguata programmazione organizzativa, oltre che dell’impoverimento delle risorse disponibili.
Questo danneggia la qualità del lavoro e, troppo spesso, costringe i cittadini a rivolgersi al privato.
OSPEDALE-TERRITORIO
Il territorio deve essere capace di fornire la maggior parte delle prestazioni mentre l’ospedale, non più al centro del sistema, riceve il malato al crescere delle sue necessità. Da anni si è coniato il concetto della sanità piramidale, con l’individuazione crescente di centri di eccellenza dove convergere i casi più importanti e specificatamente versati in settori in cui si faccia medicina di èlite. Basta con gli ospedali poliambulatori che forniscono una pletora di esami il più delle volte non indispensabili e soprattutto eseguibili sul territorio.
Gli ospedali dovranno, invece, essere sempre più integrati in rete. E’ quindi sterile e controproducente una contrapposizione tra ospedale e territorio, anzi potremmo definirla anti storica, ma certamente il territorio deve essere potenziato. Uno degli elementi fondamentali che deve essere alla base di una moderna cultura della tutela della salute è quella della personalizzazione dei servizi, ovvero la necessità di creare prestazioni che si adattino alle necessità dei destinatari. La persona deve tornare ad essere soggetto e non più oggetto della tutela della salute. Nei servizi personalizzati l’utilità deriva non solo dal processo che porta alla prestazione, ma, in primo luogo dalla relazione tra operatore e soggetto da aiutare. Il rischio maggiore è quello che una diminuzione dei costi possa influire su tale fattore. Quindi il criterio guida delle scelte non può essere quello della convenienza economica ma deve essere quello della coerenza con i valori predominanti che vengono dalle istanze della società.
IL PRECARIATO
Sono ormai decine di migliaia i professionisti della sanità operanti nel sistema pubblico con contratti atipici, spesso di breve durata, a causa del blocco delle assunzioni imposto dalle leggi finanziarie e dai vari piani di rientro.
In questa situazione, appare indispensabile avviare in tutte le Regioni procedure di consolidamento in ruolo di tale personale per non disperdere importanti professionalità.
Quando il precariato dura, come spesso accade, 8 o 10 anni siamo di fronte a drammi personali e professionali che non è più possibile sottovalutare.
CONTRATTO DI LAVORO
Viene sancita una riduzione secca della capacità economica della categoria senza che questa sia controbilanciata da eventuali benefici fiscali, senza una chiara previsione di un recupero del tasso inflattivo e senza, soprattutto, la rivalutazione dell’indennità dell’esclusività di rapporto, ferma dal 1 gennaio 2002, che di fatto sottrae oltre 300 euro mensili per ciascun anno dallo stipendio del dirigente sanitario.
Per di più, l’Atto di indirizzo per il biennio 2008-2009, predisposto dal Comitato di Settore, prevede il passaggio della retribuzione individuale di anzianità (RIA), maturata dai medici dipendenti andati in quiescenza, dal fondo di posizione al fondo di risultato, trasferendo un’importante componente economica della retribuzione medica, dalla valutazione del merito e della professionalità acquisita a quella puramente gestionale. Questo comporterà l’impossibilità di una graduazione dell’esperienza professionale, economicamente adeguata, che avrà ricadute imprevedibili e pericolose per la sua stessa tenuta.
I decreti delegati approvati dal Consiglio dei Ministri, dopo il via libera da parte del Parlamento e delle Regioni, prevedono una sterilizzazione della contrattazione affidando la disciplina di importanti aspetti organizzativi alla legge e non alla negoziazione tra le parti. Con buona pace della tanto sbandierata privatizzazione dei rapporti di lavoro e nella logica di volere cambiare tutto tranne la prassi di non rispettare i patti sottoscritti. Chiara l’intenzione di non remunerare un lavoro al quale non si riconosce né ruolo né valore, sebbene venga svolto in condizioni sempre più difficili, tutti i giorni e le notti dell’anno, a tutela della salute, un bene costituzionalmente protetto.
In assenza di certezze sul futuro economico e normativo dei contratti di lavoro cresce la rabbia e la frustrazione di una categoria che rimane il perno centrale di una Sanità Pubblica che pur si vuole più equa ed efficiente.
CONCLUSIONI
L’intera dirigenza del Ssn merita e chiede più rispetto ed una maggiore valorizzazione della fatica e della complessità del compito che ogni giorno si assume a tutela del diritto alla salute che la Costituzione riconosce ai cittadini.
Nessuno pensi di potere costruire aziende sanitarie tecnocratiche senza la cultura professionale dei medici o addirittura contro i medici.
Il senso di responsabilità di una categoria che non può e non vuole sfuggire al ruolo anche di parte della classe dirigente e la passione civile che la fa identificare con i luoghi del suo lavoro, ci induce a sollecitare una maggiore considerazione per l’impegno e le difficoltà con cui quotidianamente assicuriamo la tutela della salute dei cittadini.
Solo l’apertura di una nuova stagione di lotta da parte di tutte le forze che hanno a cuore il patrimonio del SSN potrà salvarlo da un evidente e progressivo abbandono.
Noi faremo la nostra parte ma la sfida è per tutti.

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