Liliana Dell’Osso: Lucana insigne

La psichiatra originaria di Matera dalla Basilicata ha portato con sè “l’amore e il rispetto per i saperi umanistici, per le tradizioni, per l’antichità che costituiscono la base stessa della scienza, che è nata in seno alla filosofia”

Liliana Dell’Osso, Lucana insigne nel 2018, è nata a Matera. A 18 anni decide di intraprendere gli studi di medicina che svolge a Pisa. Da subito, pur amando moltissimo la ricerca, la sua grande passione è la clinica, il paziente. Dopo la laurea nel 1979 con 110 e lode e dignità di stampa, si specializza in Psichiatria e diventa professore ordinario.

“E’difficile – dice – tirare le fila di una vita, di un percorso, umano e professionale. Se guardo indietro, la prima immagine che mi viene in mente di me stessa è quella di una bambina che, con le labbra serrate e l’espressione troppo seria, tornata a casa da scuola orgogliosa di un bel voto, riusciva a fatica durante il pranzo a strappare la parola ai fratelli maggiori – che non la cedevano facilmente a favore di uno dei più piccoli, donna per giunta. Ricevevo in cambio non solo l’attenzione, ma soprattutto la stima e la credibilità dei genitori. Già allora sapevo che, per essere presa sul serio, avrei dovuto impegnarmi a fondo, senza risparmiarmi.

E così, quando diciottenne decisi di intraprendere gli studi di medicina – invece di quelli di lettere, considerati più indicati alle ragazze nel Sud in quegli anni ’70 – ottenni, anche grazie al prezioso sostegno dei miei fratelli, il permesso di studiare a Pisa. Sapevo che il trasferimento, gli studi universitari, sarebbero stati la prova del fuoco: mi trovavo in un ambiente nuovo, pieno di possibilità, ma anche molto competitivo. Io non mi sono fatta scoraggiare, e ho combattuto tenacemente per rendere il futuro aderente alle mie aspettative. Così facendo ho scoperto che il mondo non era, in realtà, poi così diverso dalla tavola della mia infanzia: la gente mi avrebbe ascoltata”.

Buttandosi nello studio, ha la soddisfazione di essere invitata dal prof Bertolucci (istologo) o dal prof Moruzzi, (fisiologo, due volte candidato al premio Nobel), dopo aver sostenuto l’esame, a frequentare come alunna interna. Invito declinato perché, pur amando moltissimo la ricerca, la sua grande passione era la clinica, il paziente. La specializzazione in Psichiatria la consegue nel 1984 con 70/70 e lode. Ha la fortuna di avere maestri e colleghi, come il prof. Luciano Conti, il prof. Pietro Sarteschi, il prof Giovanni Battista Cassano, che l’incoraggiano e guidano, fino al conseguimento della posizione di professore ordinario: grazie al loro sostegno, scopre che, al di là della competizione serrata, della fatica, delle sfide e a volte delle delusioni, si nascondono anche grandi gioie, esperienze professionali ed umane di immenso valore.

Ma cosa ha significato per lei scontrarsi negli anni 70 con gli stereotipi sulle donne che l’avrebbero voluta maestra piuttosto che dottoressa?

“Scegliere di andare avanti negli studi, peraltro in un’altra regione, distaccandosi dalla famiglia di origine – ci racconta – è stato un percorso in salita, una scelta in controtendenza. Molte persone attorno a me lo consideravano un capriccio, il colpo di testa di una bambina che sarebbe indubbiamente esitato, con gli anni, in un ritorno su binari più congrui a quelli che erano considerati essere i veri desideri di una donna: un marito a cui affidarsi, un lavoro sereno, dei figli da crescere. Devo dire però, di essere stata fortunata: la mia famiglia ha sempre creduto nelle mie capacità, ed ho potuto contare sul supporto e sugli incoraggiamenti di mia madre, di mio padre e di mio fratello Giuseppe nel mio percorso: questo è stato molto importante”.

Quanto le sue origini, il sud, la Basilicata, hanno significato una doppia rivalsa in un contesto nazionale che ancora oggi parla e vive di stereotipi rispetto ai meridionali?

“Ho sempre pensato all’essere meridionale come a una risorsa: avere la possibilità di crescere in un ambiente ricco di storia, tra resti di antiche civiltà, che vivono ancora nelle nostre tradizioni – ci dice – è un privilegio non da poco. In un certo senso, è come poter accedere attraverso un canale diretto, mai del tutto interrotto, a quella civiltà classica che è alla base dello stesso pensiero filosofico e scientifico per come lo conosciamo. Per questo motivo non ho mai dato importanza agli stereotipi, rammaricandomi piuttosto del fatto che le persone con pregiudizi negativi sul meridione non avessero avuto la fortuna di conoscerlo e comprenderlo che invece ho avuto io”.

“Oggi – continua – considero la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa, la mia seconda casa. E i miei collaboratori, i miei studenti e specializzandi, i miei maestri sono i membri di una grande famiglia, con cui condivido un universo di saperi, esperienze, idee, sogni. Nel mio percorso di ricerca, come in tutto il resto, mi sono sempre ostinata a dire la mia. In modo consapevole, certo, all’inizio studiavo con impegno anche solo per poter fare una domanda assistendo ad un seminario, ma non mi spaventava mostrarmi in disaccordo. Finivo sempre, così, per imbarcarmi in studi controtendenza. Ho avuto la fortuna e l’onore di partecipare, da giovane ricercatrice, allo ‘Spectrum Project’, un progetto internazionale partito nel 1995 dalle Università di Pisa e Pittsburgh, che poi ha coinvolto la Columbia di New York e San Diego, basato su un modello dimensionale della psicopatologia, inizialmente guardato con scetticismo e che alla fine è stato accolto dalla comunità scientifica. Recentemente all’interno di questo progetto è stato validato il modello dello spettro autistico sottosoglia. Ogni anno, durante le Giornate Pisane di Psichiatria e Psicofarmacologia clinica, presentiamo ai colleghi il lavoro che svolgiamo in clinica. Ma dopo tanti anni di ricerca, ho capito che non basta, come non basta pubblicare sulle riviste scientifiche: da accademici, siamo chiamati ad impegnarci anche nella divulgazione. Verso questo tentativo di divulgare un messaggio in modo comprensibile a tutti vanno anche i due libri di cui sono coautrice: L’altra Marilyn, edito per Le Lettere, e L’abisso negli occhi, edito per ETS”.

Alle giovani donne lucane oggi la dottoressa Dell’Osso consiglia “di seguire il proprio cervello e i propri desideri, senza lasciarsi incantare dalle false lusinghe della rinuncia. Può tentare infatti l’idea di non mettersi in gioco, di restare nella propria comfort zone, magari con vantaggi economici più immediati, prospettive di vita più serene, il tutto incontrando (disattendendo meno) le aspettative sociali. Ma se questo non è ciò che realmente si desidera, può diventare una pericolosa gabbia (solo in apparenza dorata) che ci renderebbe infelici per tutta la vita. E’importante guardare avanti, senza però sentirsi obbligate a rinunciare ad essere donne: come l’essere meridionali, anche la femminilità è una risorsa. La “via femminile” verso la gestione del potere e dell’autorità, bastata sul lavoro di squadra e sulla ricerca di mediazione, non è affatto inferiore a quella del maschio, anzi: nel corso della storia, è stata esercitata molto più a lungo prima che giungesse la supremazia maschile dell’età patriarcale”.

Ma come guarda oggi alla sua terra di origine chi ormai è cittadina del mondo?

“La guardo – prosegue – con l’affetto incondizionato che si riserva alla balia che ti ha cresciuto, al luogo in cui è si è costituita la mia stessa essenza. Se non fossi nata in Basilicata, non sarei la persona che sono adesso. Ogni ambiente ha le sue peculiarità, i suoi punti di forza e di debolezza. Ne vedo i pregi, nella bellezza, nella storia, nella cultura, nella conservazione di un mondo altrove perduto; ovviamente ne vedo anche i difetti, come una certa refrattarietà al cambiamento, la difficoltà ad adattarsi alle nuove realtà. Penso che un aspetto sia l’inevitabile controparte dell’altro, ma sarebbe bello riuscire ad integrare l’antico e il nuovo, valorizzandoli entrambi. Un’impresa ardua, in cui spero riescano le generazioni future”.

Cosa ha portato della sua Basilicata nel suo lungo percorso? E, senza remore, le è mai mancata?

“Della Basilicata ho portato con me l’amore e il rispetto per i saperi umanistici, per le tradizioni, per l’antichità: come dicevo, per me costituiscono la base stessa della scienza, che è nata in seno alla filosofia. Penso di aver assorbito dalla stessa aria che respiravo l’amore per la classicità, che mi ha sempre accompagnato, aiutandomi ad approcciarmi allo studio e alla ricerca da una prospettiva più completa. Il mio modo di essere scienziata, dunque, non prescinde dai luoghi in cui mi sono formata. D’altra parte, penso che guardarsi indietro sia un lusso che non ci possiamo permettere. Non mi sono mai chiesta, quindi, se la mia regione mi mancasse, ma piuttosto cosa potevo fare per restituire quello che mi aveva dato, per ripagarla della cultura che ho potuto assorbire negli anni della formazione, frutto di tradizioni millenarie, con risultati che ne fossero degni”.

Quanto è difficile al giorno d’oggi la sua professione e cosa la gratifica di più?

“La difficoltà maggiore non è data dal lavoro in sé, ma dallo scontrarsi con le dure realtà lobbistiche, specialmente di stampo maschile, che permeano gli ambienti universitari e ospedalieri, soffocando il sereno sviluppo dello studio, della ricerca, dell’assistenza. In questo, come dicevo, rifiutare l’androgenizzazione, mantenendo uno stile di approccio femminile alle problematiche, è stato fondamentale. Mi ha permesso di stringere alleanze preziose con le mie collaboratrici, dove invece altre tendevano a entrare in competizione, annientandosi a vicenda. Ed è proprio questa una delle cose che più mi gratifica del mio lavoro: la possibilità di condividere le idee, le ricerche, l’eccitazione della scoperta, con un gruppo affiatato e stimolante, costituito da allievi, giovani ricercatori, collaboratori che si supportano vicendevolmente, e in seno al quale l’insieme diventa di maggior valore rispetto alle parti”.

Liliana Dell’Osso dal 2010 è Direttore della Scuola di Specializzazione, dal 2011 è Presidente del corso di Laurea in Tecniche della riabilitazione psichiatrica e del Master in Medicina delle dipendenze. Dal 2012 coordina l’attività scientifica e didattica del Dipartimento Integrato di Neuroscienze e, dal 2015 è vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria.

E’autrice di oltre 600 pubblicazioni su riviste scientifiche prevalentemente internazionali. Ha uno Scholar h-index di 53 ed è al 55 posto nella Top Italian Scientists, Clinical Sciences, della Virtual Italian Academy che include tutti gli scienziati italiani che lavorano nel mondo. È inserita nel catalogo online delle scienziate italiane 100esperte.it, che raccoglie i 100 profili di professioniste della scienza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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