PRESENTATO IL RAPPORTO ITALIA DELL'EURISPES

Superare la sindrome del Palio, passare dal contro al per e trasformare la nostra potenza in energia

L’invidia è il vizio che blocca l’Italia. Una vera e propria sindrome che l’Eurispes definisce “sindrome del Palio” che non ci permette di trasformare la nostra potenza in energia.
“L’Italia – spiega il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – è infatti rallentata da una diffusa e radicata sindrome del Palio di Siena la cui regola principale è quella di impedire all’avversario di vincere, prima ancora di impegnarsi a vincere in prima persona. Sempre senese era l’anima nel XIII Canto che dice a Dante: «Fui molto più lieta delle sfortuna altrui che della mia fortuna».
L’invidia e la gelosia, se volte in positivo, diventano il propellente indispensabile alla crescita e allo sviluppo. Stimolano la concorrenza nel mercato privato; spingono a comportamenti più virtuosi, apprezzabili e spendibili sul piano del ruolo e dell’immagine, nel pubblico. Di fatto, nel nostro Paese ciò non accade. Invidia e gelosia si traducono in rancore e denigrazione. Odiamo e denigriamo il nostro vicino più bravo e, invece di impegnarci per raggiungere risultati migliori e superarlo in creatività, efficienza e capacità, spendiamo le nostre migliori energie per combatterlo, per mortificarne i successi, per ostacolarne o addirittura bloccarne il cammino. Insomma un vero e proprio “spreco di potenza”, una filosofia del contro invece che del per”.
“Altri due ganci, secondo il Presidente dell’Eurispes, continuano a frenare l’Italia e ad impedirle di valorizzare al meglio le proprie enormi risorse. Il primo, la burocrazia e la iperproduzione di norme, leggi e disposizioni. Un freno che trattiene la crescita e mortifica spesso la volontà e l’ingegno degli spiriti migliori. La paranoia regolativa ha ormai raggiunto livelli insopportabili e mentre da una parte si costituiscono e si insediano commissioni per la semplificazione o per la riduzione o l’eliminazione di leggi ritenute superate od obsolete, dall’altra si continua, come in una gara, a produrne di nuove che si intrecciano, si accavallano, si contraddicono con quelle già esistenti. In un Paese nel quale la pressione fiscale ha raggiunto livelli insostenibili, il prezzo pagato al “disbrigo” delle pratiche burocratiche diventa un ulteriore balzello, risorse sottratte allo sviluppo e alla crescita delle imprese, valutabili in diversi miliardi di euro l’anno. Sorte migliore non tocca ai cittadini”.
“In questo senso – sottolinea Fara – l’Italia è un paese prigioniero. Prigioniero delle Istituzioni, della burocrazia e delle carte. Un sistema siffatto scoraggia la libera iniziativa, mortifica le imprese, annichilisce i cittadini ed è incapace di mantenere i ritmi e i tempi che la modernità richiede e impone. Weber definiva la burocrazia “spirito coagulato”, si tratta quindi di “sciogliere” questo coagulo per evitare forme di arroccamento e di isolamento che producono separatezza e distanza da coloro che dovrebbero essere i primi e diretti beneficiari del lavoro svolto dalla burocrazia e cioè i cittadini.
Il secondo aspetto riguarda la incapacità della società italiana di “fare sistema”. Non più la società liquida descritta da Bauman, ma una società “evanescente” nella quale ognuno pensa a se stesso e che non riesce ad elaborare un progetto complessivo. Sembra che il nostro Paese faccia di tutto per negare il proprio valore e che a noi manchino il gusto e il piacere di sentirci italiani, sottovalutando e non facendo gran conto né di quelle prerogative nelle quali non siamo inferiori agli altri né di quei concittadini che abbiano conseguito risultati di eccellenza”.
“Secondo diversi indicatori nazionali e internazionali – prosegue il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – la crisi che ha segnato gli ultimi dieci anni della vita del nostro Paese sembra – almeno per ciò che riguarda l’economia – giunta al termine di un percorso che, comunque, lascia dietro di sé cumuli di macerie e che ha provocato profonde trasformazioni negli assetti sociali, territoriali, produttivi ed economici nazionali.
Rimangono ancora aperte e irrisolte la crisi del sistema politico-istituzionale e quella sociale. Ma, mentre la prima pare avviata a soluzione, la seconda è in pieno svolgimento e la soluzione sembra ancora lontana poiché nel corso degli anni non se ne sono comprese la vera natura, la profondità e l’ampiezza della portata. Si sono sottovalutati gli effetti che la recessione e le politiche adottate per combatterla hanno prodotto: la messa in discussione delle tradizionali certezze, il blocco della mobilità sociale, l’impoverimento di ampi strati della popolazione e soprattutto dei ceti medi, la concentrazione della ricchezza in un numero sempre più esiguo di soggetti, la caduta della qualità dei servizi, il progressivo smantellamento del welfare, la consegna al limbo di intere generazioni di giovani, l’abbandono del Mezzogiorno, la crescita della pressione fiscale diventata ormai insostenibile, e tanto altro ancora.
E tuttavia, il Paese non è la morta gora che alcuni spesso strumentalmente descrivono. E bisogna prendere atto che finalmente qualcosa comincia a muoversi e che al tradizionale piangersi addosso per l’accanimento del “destino cinico e baro”, spesso straniero e talvolta tedesco, viene opposta una forte volontà di reagire per cercare di uscire dal pantano nel quale questo lungo periodo di crisi ci ha costretti”.
“Non c’è dubbio che il Presidente del Consiglio si sia assegnato un compito difficile: quello di rimettere in moto un Paese in declino.
Oggi, con la consapevolezza delle difficoltà e della gravità della situazione, è maturato il desiderio di reagire e di individuare soluzioni credibili e durature. D’altra parte – conclude il Presidente dell’Eurispes – nessuna malattia può essere curata senza una cosciente presa d’atto delle sue cause e dei suoi percorsi. Ma, nello stesso tempo, nessun medico potrà mai guarire un ammalato che non reagisca o che non voglia guarire.
Il compito che Renzi si è assegnato è quindi quello di stimolare nel corpo sociale “l’appetizione” che Kant definiva proprio come la volontà cosciente di guarire dalla malattia. E lo fa cercando di risvegliare la consapevolezza di sé degli italiani, stimolando la ripresa di orgoglio del Paese, usando argomenti, temi e immagini graditi ad un popolo stanco di sentirsi bacchettare dal burocrate teutonico di turno. Renzi non ha, come altri nel recente passato, la pretesa pedagogica di liberare gli italiani dai loro vizi ma, più praticamente, cerca di esaltarne e valorizzarne i pregi e le potenzialità, offrendo loro un orizzonte gradito, liberatorio e motivante.
Il Rapporto Italia di quest’anno indica chiaramente che i segnali di una ripresa ci sono e non sono solo economici. Non ricompattare attorno a quest’onda positiva il Paese sarebbe imperdonabile.
La complessità non ammette sconti e ci sfida in una partita nuova nella quale si vince solo se si è capaci di giocare in squadra”.
Un futuro per l’Italia
“Sono tre i contesti internazionali – sottolinea il Presidente dell’Eurispes – nei quali il Paese sarà chiamato a dispiegare le sue migliori capacità: l’Europa, il Mediterraneo e la latitudine Est-Ovest.
In primo luogo, in Europa il ruolo dell’Italia – paese fondatore e ispiratore del disegno pacifista unitario – è quello di esprimere l’anima latina del Continente e affermarne le preminenti ragioni.
Il nostro Paese è anche portatore, nelle donne e negli uomini che si applicano alla politica estera e nei servizi di Intelligence, di una grande energia creatrice: la mediazione.
Il Paese di Guicciardini e di Machiavelli, la Penisola invasa da Sud e da Nord, da Est e da Ovest, ha sviluppato, nei secoli, il talento dei saggi: la mediazione, appunto. Mediazione è capacità di comprensione dell’alterità, di conciliazione degli opposti. È la “forza tranquilla” di lunga durata che si oppone alla irrazionale violenza esplosiva. È pensiero preposto al parlare. È la sintesi, filosofica e antropologica, delle anime dell’uomo. È, in sostanza, un’arte per pochi.
Troppi anni e tanti insuccessi hanno, ormai, certificato la inadeguatezza dell’approccio calvinista-protestante alla sfide del “dopo Muro”: non è con la ferrea applicazione di regole e processi che si affronta la complessità e l’indeterminatezza degli eventi e l’altezza delle sfide. In tempi di caos e frattali di fisica quantistica e migrazioni di popoli, solo la raffinata arte della mediazione potrà portarci oltre la siepe dei problemi attuali.
Sia chiaro: l’Europa ha anima latina (e cristiana) e non sassone, né slava né altro. O l’Europa saprà essere latina o non sarà. E si tratta anche di evitare che l’Europa assuma come proprie le derive che alimentano la politica di alcuni paesi che, entrati nell’Unione con il cappello in mano e grazie alla benevolenza e all’aiuto anche nostro, riscoprono antiche vocazioni reazionarie e cercano di farla da padroni”.
“In secondo luogo, nel Mediterraneo noi italiani siamo, probabilmente, i soli a poter svolgere credibilmente quel ruolo di mediazione che solo può e potrà scongiurare il dilagare di conflittualità multietniche e policulturali. A differenza di altri nostri cugini latini, come i francesi e gli spagnoli, che hanno spesso condiviso il nostro destino storico-mediterraneo, noi – spiega il Presidente Fara – non esercitiamo un approccio colonizzatore, vetero o tardo imperialista forse, semplicemente, perché non ne siamo mai stati capaci.
E, infine, in terzo luogo, la latitudine Est-Ovest. La strada fatta verso Ovest dagli emigranti italiani approdati a Ellis Island e verso Est dagli artisti, dagli artigiani e dagli architetti italiani chiamati da Pietro il Grande a edificare San Pietroburgo e più tardi la costruzione di Togliattigrad da parte della Fiat ci ha collocati, lì nel mezzo, quali credibili e affidabili interpreti delle opposte ragioni. E per questo dobbiamo sostenere quella tradizione di mediazione Est-Ovest che può consentire all’Europa il mantenimento di un reale equilibrio latitudinale. E ciò non si raggiunge certo con l’ostracismo e le sanzioni”.
“Chi dovrebbe “fare sistema”? Chi dovrebbe gestire la complessità? Chi dovrebbe elaborare strategie? Chi dovrebbe produrre senso ed orientamento? Per noi, la risposta è chiara.
Sta alla classe dirigente generale, e alla politica in particolare, conclude il Presidente dell’Eurispes, raccogliere e valorizzare tutte le idee, le esperienze, la potenzialità che la società, spesso anche confusamente, esprime; metterle a sistema e, nello stesso tempo, elaborare progetti e strategie e soprattutto immaginare e disegnare il futuro del Paese.
Quello che vediamo emergere nel Paese in questo 2016 di passione, stretto tra guerra mediterranea e crisi asiatica, elezioni comunali e riforme istituzionali, è una nuova, forte e pressante domanda di politica. Una politica più leaderista che partitica, più itinerante (Roma, Mosca, Bruxelles, Washington, Pechino) che stanziale, più comunicativa che annunciatrice, alla quale molto o tutto sarà concesso purché sia sostenuta da una trasparente onestà personale”.

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